Alcuni dati tratti dalla ricerca. La Coldiretti, negli ormai classici studi dell’Obesity Day, ci dice che:
• oltre il 35% degli italiani è in sovrappeso o dichiaratamente obeso;
• il 25% afferma “che il cibo domina la propria vita”.
Il risultato è che in qualunque momento dell’anno quasi 17.000.000 di italiani sono a dieta e 7/8.000.000 sono coloro che seguono con regolarità un regime dietetico (fonte: Coldiretti 2014/2015)
Ma solo in un’esigua minoranza dei casi la sola dieta sarà sufficiente; anzi “… per prevenire e curare il sovrappeso e l’obesità il solo controllo dell’alimentazione, attraverso la dieta, non è sufficiente.. La sola restrizione alimentare non è sufficiente a produrre risultati a lungo termine sul peso corporeo e sui fattori di rischio metabolici e cardiovascolari che accompagnano l’obesità. (fonte: S.I.O. 2007, Società Italiana dell’Obesità)
Quindi quello che oramai sappiamo per certo è che il sovrappeso e l’obesità sono determinati da un quadro complesso di fattori, tutti concorrenti, come ad es: la genetica, dunque l’ereditarietà ed il genere; il tipo di metabolismo, vale adire il tipo di adipociti ed il loro funzionamento; la sedentarietà e dunque il fattore protettivo dato dall’attività fisica; l’alimentazione, dunque cosa, quanto e come mangiamo ed in quali condizioni.
Dunque tutti possiamo condividere l’asserzione che la chiave sta nel cambiare le proprie abitudini alimentari ed assumere un diverso stile di vita.
E quale può essere il contributo della psicologia? Quello di evidenziare il rapporto tra alimentazione ed emozioni, che sta alla base di quel fenomeno noto come “fame emotiva”. Questo fenomeno, ben lontano da essere, in sé, patologico, riguarda non solo chi sente di essere in sovrappeso, ma di fatto tutti noi, che alle volte, usiamo il cibo ‘per sentirci meglio’.
Ad es. potremmo chiederci che rapporto c’è tra ansia ed alimentazione; le manifestazioni somatiche dell’ansia possono spingere verso un’alimentazione di tipo compulsivo? La risposta può essere scontata, per molte persone, ma le altre emozioni? Le ricerche sostengono che di fatto tutte le emozioni, in particolare l’ansia, la tristezza, la rabbia, ma anche la noia e la solitudine e più in generale ogni variazione emozionale conseguente al nostro personale stato di stress può condurre al cibo non fisiologico.
Allora potremmo utilmente chiederci, guardando al nostro passato alimentare, quando magari abbiamo intrapreso una dieta, cosa può avere influito sul suo successo ovvero sul suo abbandono, oppure ancora sul fatto che pur avendo perso il peso, poi in seguito è stato ripreso.
Scopriremmo così che forse proprio il fenomeno della fame emotiva è stato alla base, alla radice di tale fallimento, acuendo qualunque stato emozionale, spingendo infine verso il cibo, una forma di gratificazione che è, in sé, connaturata con la natura umana: cibo come benessere, come sicurezza, come protezione (che riguarda certo i circuiti neurologici di regolazione della dopamina, il neurotrasmettitore dell’umore, della serotonina, quello del piacere, dell’ossitocina, quello delle relazioni affettive).
Il cibo, per molte persone, può funzionare da regolatore esterno delle emozioni, in un duplice modo; in primis come rinforzo positivo, in quanto mangiare è essa stessa un’attività piacevole e stimolante; in secondo luogo come attività calmierante degli stati emozionali negativi. Da un lato dunque il cibo come fonte di piacere e dall’altro come evitamento degli stati interni negativi.
Se è certo il rapporto tra emozioni e cibo, un aspetto che non viene affatto correttamente valutato, invece, riguarda il rapporto inverso, ovvero il contributo che le diete danno alla fame emotiva, che a sua volta aumenta la probabilità di assunzione non fisiologica.
E’ un fatto: quando cominciamo una dieta iniziamo a preoccuparci del cibo; ogni pasto rischia di diventare una battaglia tra desiderio e forza di volontà. Si creano i noti effetti della “violazione della regola autoimposta”, ovvero l’autorecriminazione, il biasimo che ci accompagna quando si trasgredisce alle regole alimentari autoimposte e l’impulso, conseguente, a lasciare perdere la dieta, perché il giudizio sul sé è fallimentare. Si aggiungono giudizi sul senso di volontà e disciplina ed a quanto in realtà siamo deboli, fragili e rinunciatari.
Così tra autolesionismo ed autobiasimo per aver perso il controllo ovviamente ci si deprime maggiormente e come si reagisce spesso? Ricorrendo ancora al cibo, alla ricerca di un qualche conforto (gli effetti del noto ‘ciclo di Bennet’).
Esistono prove più che evidenti degli effetti non desiderabili delle diete sull’emotività: molte ricerche hanno evidenziato che le persone a dieta sono maggiormente emozionabili, dunque più soggette a perdere l’equilibrio alimentare ed abbuffarsi compulsivamente; se queste persone a dieta sono toccate da emozioni negative, sono più portate a mangiare.
In generale maggiore sarà la restrizione alimentare maggiore sarà la probabilità di perdere il controllo alimentare.
Ovviamente non diciamo no alle diete, ma solo di essere consapevoli del ruolo delle emozioni, particolarmente quelle negative, sul fallimento delle diete stesse. Dunque dobbiamo essere più indulgenti, dotati di più self compassion, quando cediamo alla trasgressione, perché anche questa fa parte dello stesso quadro possibile. Nessuno è senza speranza.
La mindfulness si propone come agente di regolazione delle emozioni; è un approccio psicologico che privilegia un orientamento accettante e non giudicante dell’esperienza personale, molto diverso dalle consuete modalità mentali basate piuttosto su concetti di lotta o di contrasto a ciò che non ci piace di noi stessi.
Siamo costantemente presi dall’attività della mente, da non accorgerci, appunto, che è un’attività, non la realtà e dunque non ci accorgiamo che stiamo ‘solo’ pensando; imparando ad essere meno vincolati rispetto a ciò che la mente ci dice, diventiamo più liberi di scegliere. La mindfulness ci guida fuori dalle trappole della nostra stessa mente. Apprendendo, così a “rispondere anziché reagire”.
Imparando a riconoscere i propri stati emozionali interni nel momento in cui si manifestano e particolarmente quelli negativi, legati a tensioni e stress, impariamo anche a riconoscere il disagio della spinta compulsiva; e quando essa si manifesta, in luogo di cedervi automaticamente, provando solo ad accettarla, di fatto riusciamo a contenerla.
Le abilità proprie della mindfulness possono essere molto importanti soprattutto nei momenti in cui siamo stressati, tesi, arrabbiati, ansiosi o, appunto, quando abbiamo l’impulso a mangiare in modo non ordinato e fisiologico.
Si tratta di un atteggiamento bonario, rispettoso, lontano dal ‘tutto o niente’, che mette in risalto l‘accettazione in luogo del senso di colpa.
Ma cosa offre nello specifico la mindfulness al tema della modulazione della fame emotiva?
Le pratiche di mindfulness hanno tutte in comune l’osservazione, l’accettazione, il non tentare di modificare la propria esperienza interna, vale a dire pensieri, emozioni ed impulsi ad agire, sviluppando le abilità necessarie alla loro osservazione, proprio mentre stanno accadendo, senza per questo esserne travolti dagli effetti. Suggerisce di essere attenti ai segnali premonitori, sviluppando una nuova relazione con queste esperienze interne, che consentano di approntare strategie di coping alternative.
Significa dunque riuscire ad osservare la spinta compulsiva al cibo, senza tentare di modificare alcunchè, ma al contrario, accettandola per quel che è, appunto una compulsione, un prodotto della mente, ma non la realtà. Osserviamo senza giudizio, cioè con apertura, con la sapienza che ciò che stiamo sperimentando è solo attività mentale; osservando solamente riusciamo a creare uno spazio mentale entro il quale possiamo rispondere alle stimolazioni, anziché reagirvi automaticamente, quindi in modo maggiormente pro-attivo, respons-abile.
Le abilità che gli studi scientifici hanno validato come importanti a tali fini sono l’accettazione degli stati emozionali, in modo da contenerli senza obbligatoriamente rispondervi, una formulazione del dialogo mentale che prevede di osservare il flusso dei pensieri senza farsi trascinare da essi, il non giudizio e la self compassion, fattori importanti soprattutto per l’autocritica seguente alla violazione delle regole alimentari autoimposte e per i vissuti di colpa.
dott Roberto De Filippo Professional Couselor
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