Nell’attuale ricerca scientifica e nella pratica clinica per il controllo del sovrappeso e dell’obesità è ampiamente riconosciuto come solo in un’esigua minoranza dei casi la sola dieta alimentare sarà sufficiente; anzi “… per prevenire e curare il sovrappeso e l’obesità il solo controllo dell’alimentazione, attraverso la dieta, non è sufficiente.. La sola restrizione alimentare non è sufficiente a produrre risultati a lungo termine sul peso corporeo e sui fattori di rischio metabolici e cardiovascolari che accompagnano l’obesità. (fonte: S.I.O. Società Italiana dell’Obesità, 2007), stimandone il successo in meno del 10% dei casi in trattamento restrittivo.
Facilmente potremmo condividere l’asserzione che la chiave sta nel cambiare le proprie abitudini alimentari ed assumere un diverso stile di vita ed a questo proposito, da un punto di vista psicologico, può essere utile soffermarsi su un aspetto specifico: il rapporto tra alimentazione ed emozioni, che sta alla base di quel fenomeno che è stato chiamato “fame emotiva”. Questo fenomeno, ben lontano da essere, in sé, patologico, riguarda non solo chi sente di essere in sovrappeso, ma di fatto tutti noi, che alle volte, usiamo il cibo ‘per sentirci meglio’.
Il cibo, difatti, per molte persone, funziona da regolatore esterno delle emozioni, in un duplice modo; in primis per il rinforzo positivo, in quanto mangiare è essa stessa un’attività piacevole e stimolante; in secondo luogo come attività calmante degli stati emozionali negativi. Da un lato dunque il cibo come fonte di piacere e dall’altro come evitamento di stati interni negativi.
D’altronde, un aspetto che non viene affatto correttamente valutato, riguarda il contributo che le diete danno alla fame emotiva, che a sua volta aumenta la probabilità di assunzione non fisiologica di cibo.
Esistono prove più che evidenti degli effetti non desiderabili delle diete sull’emotività: maggiore sarà la restrizione alimentare maggiore sarà la probabilità di perdere il controllo alimentare. Spesso, infatti, si creano i noti effetti della “violazione della regola autoimposta”, ovvero l’autorecriminazione, il biasimo che accompagna quando si trasgredisce ed il conseguente atteggiamento a lasciare perdere la dieta, perché il giudizio sul sé è fallimentare. Si aggiungono spesso giudizi negativi sul senso di volontà e di autodisciplina.
E’ dunque importante comprendere che quando parliamo di rapporto tra cibo ed emozioni parliamo sempre di quadri complessi, cognitivi ed emotivi, continuamente in movimento e la mindfulness si propone come agente di regolazione interno delle emozioni.
La mindfulness
Una definizione generale di mindfulness: il termine significa ‘consapevolezza’ fare cioè esperienza del momento presente, in modo accettante e non giudicante. Si tratta di un approccio psicologico che privilegia il riconoscimento dei propri stati emozionali interni nel momento in cui si manifestano e particolarmente quelli negativi, legati a tensioni e stress.
In questa definizione generale cogliamo il punto centrale: il concetto di “momento presente”, intendendo con questo, innanzitutto, le nostre esperienze sensoriali, di cui ci accorgiamo, nel momento in cui si verificano, colte appunto attraverso i nostri cinque sensi, ma sono poi anche l’accorgerci dei processi della mente, cioè dei pensieri e delle emozioni e delle spinte all’azione, che continuamente si rinnovano nella nostra consapevolezza; una sorta di ‘sesto senso’.
Questa abilità di cogliere i processi mentali è molto importante soprattutto nei momenti in cui siamo stressati, tesi, arrabbiati, ansiosi oppure quando abbiamo l’impulso a mangiare in modo non ordinato e fisiologico, al fine di intervenire contestualmente sulle dinamiche di compulsività.
Da un punto di vista pratico, possiamo dire che si tratta di apprendere delle pratiche mirate all’affinamento dell’attenzione, cosicchè alcuni processi mentali di stampo automatico, come per l’appunto il ‘craving alimentare’, siano maggiormente soggetti alla volontà ed alla consapevolezza dell’individuo.
Tutto il percorso formativo si svolge in otto lezioni settimanali, di circa due ore ciascuna, durante le quali vengono spiegati i principi ed insegnati gli esercizi necessari per apportare delle variazioni significative nella propria esperienza alimentare.
La filosofia di base del corso si concretizza come modalità ‘di mezzo’ tra diverse opzioni che spesso si osservano nelle persone che hanno a che fare con problemi di restrizioni alimentari: da un lato il resistere a qualunque tentazione, rispetto la regola autoimposta di ‘stare a dieta’ a tutti i costi, con grande dispendio di energia nell’effettuare il necessario controllo e dall’altro il continuo rischio di cedimento alle tentazioni alimentari, in una sorta di costante braccio di ferro tra tendenze opposte.
Questo approccio sottolinea l’importanza di riconoscere gli stimoli interni, il disagio della spinta compulsiva, quando essa si manifesta, imparando ad accettarne l’inevitabile presenza, ma contenendola, in luogo di cedervi automaticamente. E’ un atteggiamento dunque bonario, ben lontano dal ‘tutto o niente’, che mette in risalto l‘accettazione in luogo del rimorso e del senso di colpa.
Lo studio
Un corso pilota, denominato Mindful Diet, erogato sperimentalmente, è stato recentemente promosso dall’associazione culturale padovana La Bussola Segreta ed ha visto la partecipazione di un gruppo di apprendimento di persone, descritto da un punto di vista socio-anagrafico come segue: M/F= n. 8, di cui F=n. 6, M=n. 2; età media= a. 48; titolo studio prevalente=Medie Superiori/Laurea.
Nella sua composizione il gruppo non è da ritenersi statisticamente rappresentativo e data la sua esiguità numerica i risultati ottenuti non possono essere considerati significativi; pur tuttavia i dati di risulta, considerato il ruolo ed i limiti di uno studio introduttivo, mantengono il valore clinico di offerta di precise indicazioni operative e valutative del percorso.
Il percorso di formazione, come accennato costituito da otto sessioni di due ore ciascuna, è stato preceduto e seguito dalla somministrazione ai partecipanti di alcuni test di autovalutazione, del tipo carta-matita:
VRS – Valutazione Rapida dello stress (Tarsitani et al. 1999) Il questionario scompone la valutazione complessiva in cinque aree subordinate: Ansia, Depressione, Somatizzazione, Aggressività ed Assenza di Supporto Sociale.
MES – Mood Eating Scale (Jackson et al. 1980) La scala misura la tendenza complessiva che il proprio comportamento alimentare sia guidato dalla ‘fame emotiva’.
FFMQ – Five Facets Mindfulness Scale (Baer et al. 2006) Il questionario considera come fondamentali cinque fattori principali legati alle abilità di mindfulness: NR, come tendenza a non reagire in modo reattivo; OSS, come attenzione ed osservazione dei propri pensieri, sensazioni ed emozioni; AC, come agire con concentrazione ed attenzione e non in modo automatico; DES, come saper descrivere a parole i propri pensieri, sensazioni, percezioni ed emozioni e NG, come atteggiamento non-giudicante verso l’esperienza.
I dati
I dati di risulta dello studio, normalizzati (punti T) hanno evidenziato complessivamente le seguenti variazioni assolute: VRS: (riduzione dell’indice medio di stress) = – 24.0%; MES: (riduzione del valore di tendenza di ‘fame emotiva’) = – 31,1%; FFMQ: (aumento delle abilità complessive di mindfulness) = + 10,6%, con punta nella sub-scala NR = + 36,3%. Da evidenziare che le prove di significatività statistica, considerata l’esiguità del gruppo campione non sono risultate tali, eccetto che nella scala FFMQ, in cui il test utilizzato (t di Student) ha prodotto t = 3,93 significativo per p<0,01.
I successivi studi correlazionali (r di Pearson) nelle singole scale, pre/post, hanno mostrato un’assoluta coerenza, attesa e di tipo lineare, con i dati precedenti: r VRS= 0.62; r MES= 0,86; r FFMQ= 0,87.
Infine, i dati emersi di correlazione, tra le scale utilizzate, hanno evidenziato le seguenti variazioni: MES pre/FFMQ pre: r= - 0,25 versus MES post/FFMQ post: r= - 0,59; MES pre/NR pre: r= - 0,47 versus MES post/NR post: r= - 0,76.
Conclusioni
Gli studi di neurofisiologia, ormai consolidati, dimostrano come la mindfulness possieda una profonda azione nell’integrazione di diverse aree del cervello, da quella corticale a quelle subcorticali del sistema limbico e del tronco encefalico. In questa integrazione neuronale è ampiamente riconosciuto il ruolo di coordinamento delle aree prefrontali mediali, target delle pratiche dell’autoregolazione attentiva della mindfulness. (Davidson), comprovando, così, le molto documentate applicazioni della mindfulness in medicina, psicologia e psicoterapia.
L’insieme dei dati ottenuti nel presente studio pilota, pur non potendo essere probante sul piano della corretta prassi statistica, come già preannunciato, necessitando, ad esempio, di un follow up successivo, offre tuttavia sufficienti motivi di riflessione e di valutazione positiva del percorso proposto ed attuato nel gruppo di apprendimento, corroborando l’idea che la mindfulness sia essenziale nel processo di autoregolazione delle emozioni ed in particolare nei comportamenti di addiction.
ROBERTO DE FILIPPO, Psicologo dell’emergenza, Senior Counselor, Mindfulness Teacher
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